Recensione: Violenza, storie di ordinaria quotidianità

Commento del libro di Elisa Caponetti, a cura di Raffaele Messina, tratto da Il Quotidiano del Sud

Il saggio della psicologa e psicoterapeuta Elisa Caponetti, Vittime di violenza: storie di ordinaria quotidianità (Albatros) vuole essere una riflessione  più ampia sul tema della violenza nella nostra società, capace di andare oltre la riproposizione dei tristissimi casi di femminicidio che si consumano nel nostro Paese. Pur con «grande rispetto per tutte le donne uccise per mano degli uomini» scrive Caponetti, «è necessario andare oltre il semplice dato di cronaca [e] offrire uno spazio di riflessione diverso e lontano dalle solite letture mediatiche».

E, in effetti, nelle pagine del libro le sorprese non mancano. Ad esempio, dati Istat alla mano, si scopre che il femminicidio non è emergenza sociale ‘nuova’ e, soprattutto, che non è ‘fenomeno italiano’, legato all’arretratezza culturale del maschio latino, poiché in paesi all’avanguardia sulla parità dei sessi, come la Finlandia, le donne ammazzate sono tre volte di più. Si riconosce, inoltre, che «c’è una violenza più sottile e silenziosa, quella delle donne».

Una violenza rimossa anche dalla cronaca, quasi fosse un tabù, e poco indagata dagli studiosi. Grave sottovalutazione indotta dall’immaginario collettivo, che rappresenta le figure femminili sempre «compiacenti e concilianti», ma alla quale contribuiscono anche «tanti uomini che non denunciano, in quanto, essendo uomini, temono non soltanto di non essere credutimaanche di venire beffeggiati e ridicolizzati». Certo ci sono anche le storie di Simona, di Francesca (i nomi sono di comodo) e di tante altre donne incontrate dalla Caponetti nel corso della propria esperienza professionale, ma le sue riflessioni sui tanti, troppi, casi di violenza subiti dalle donne, sono inserite nel più vasto e generale panorama delle varie forme che gli impulsi di aggressività assumono oggi e sui costumi sociali che li acuiscono, invece di contenerli.

Primo fra tutti, la continua esposizione di bambini e adolescenti alle scene di violenza, mediate non soltanto dalla vecchia ‘cattiva maestra’ televisione, per dirla alla Popper, ma anche dai nuovi social e dai videogiochi sempre più violenti.

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