Quando la psicologia entra in tribunale

Elisa Caponetti, esperta di psicologia giuridica, supporta in tutte le fasi del processo le persone coinvolte

Lei è Elisa Caponetti, professione psicologa, specializzata in psicoterapia di coppia e familiare e in psicologia giuridica. Il suo ultimo libro è “Vittime di violenza: storie di ordinaria quotidianità”, edito d a Albatros. Da sempre appassionata di criminologia, ha una formazione duplice che le ha consentito di collaborare con la Procura e lo Corte di Appello di Roma, ma anche con la Polizia di Staio. È infatti CTU (Consulente Tecnico d’Ufficio) e Perito del Tribunale, ma anche CTP (Consulente Tecnico di Parte) nei processi civili, penali e minorili.

Di cosa si occupa nel concreto?

li lavoro che svolgo mi consente di confrontarmi con situazioni estremamente diverse tra loro e al contempo molto complesse. In qualità di psicologa forense posso ricevere un incarico dal Giudice o direttamente dalle Parti. Posso assistere la vittima in tutte le fasi del processo, ma questo può accadere anche con l’altra parte, cioè il presunto colpevole. Il mio compito non è quello di emettere giudizi o sentenze (competenza del Giudice), ma di supportare in tutte le fasi processuali sia la vittima che l’indagato, a seconda del mondato che ricevo. Il mio operalo di cerio non inficia le indagini. Permetto di acquisire elementi utili che aiutano il Giudice a prendere le migliori decisioni possibili agevolandolo nel processo e nella formulazione della decisione finale.

Pensando alla psicologia giuridica il primo pensiero va ai grandi crimini

Si, oggi c’è una grande attenzione ai gravi fatti di cronaca. Esistono moltissimi programmi tv in cui si parla dei crimini commessi, come ad esempio quelli sulle storie di omicidi e violenza (la dottoressa Caponetti è spesso ospite tv). I mass media in generale danno grande risalto o questo genere di notizie. Tuttavia, la psicologia giuridica e forense non si occupa solo di questo. Gli ambiti di intervento sono davvero tanti: non c’è soltanto il penale e la psicologia penitenziaria, ma anche ambiti di intervento afferenti al civili (separazioni, divorzi, adozioni e affidamento di minori, valutazione delle competenze genitoriali, risarcimento del danno, ecc.).

Da insider del campo giuridico, ha l’impressione che la violenza sia aumentata?

Si è modificata. È aumentata la tipologia dei reati, ovvero lo modalità con cui vengono commessi. Basti pensare al mondo cyber e a tutti i crimini informatici, come le truffe telematiche, il revenge porn, il cyber
stalking, il phishing, il furto di identità. Se poi mi chiede la violenza nel senso di comportamenti aggressivi generalizzali, la risposta è sì. Sembriamo tutti perennemente arrabbiati, intolleranti, pronti o scattare alla minima miccia. È sicuramente aumentato il malessere esperito.

Secondo lei perché?

Da un lato c’è un’incapacità crescente di tollerare le frustrazioni quotidiane. Dall’altro loto c’è tutta una cultura collettiva che in un certo senso avvalora lo violenza. Le faccio un esempio. Oggi se 2 persone litigano pesantemente per strada è più probabile che vengano riprese con il telefonino e postate sui socia!, anziché fermate magari con l’intervento della polizia. Il video poi sarà diffuso, verrà rimbalzato di piattaforma in piattaforma, seguiranno like e così via. Ma possiamo aggiungere altri esempi, come i testi violenti di alcune canzoni, le pericolose challenge di TikTok, il fenomeno degli hater. Tutto ciò vuol dire incentivare indirettamente lo violenza.

E c’è un modo per disincentivarla?

Ci vorrebbe uno sforzo collettivo, da porte di istituzioni e media, a produrre alternative di contenuti decisamente contrapposti, cioè più positivi ed edificanti. È venuto meno anche il rigore e la fermezza. Sono cambiale le famiglie, occorre recuperare modelli di responsabilità genitoriale. Non è un cambiamento che si può attuare dall’oggi al domani, però già inculcare nei ragazzi la consapevolezza che c’è altro dal mondo artificiale dei sociaI può essere un passo avanti. E necessario agire anche a livello di prevenzione, occupandosi davvero del benessere dei giovani e tornando a diffondere i veri valori esistenziali, anziché seguire cose puramente effimere. Occorre fare prevenzione a tutti i livelli (famiglia, scuola, istituzioni, personale sanitario… ). È altrettanto essenziale riuscire a dare sostegno e aiuto olle famiglie che presentono criticità senza lasciarle sole.

Come stanno oggi i giovani?

Colgo una scissione: da un lato si eccede nell’esibizionismo di sé e nella ricerca ossessiva di like, che poi è un mostrare una falso identità di un ego ipertrofico. E dall’altro loto c’è chi ha difficoltà a riconoscersi in questi ideali vuoti, e quindi si ritira socialmente perché non riesce a inserirsi. Il disagio giovanile è in fortissimo aumento.

Qual è il ruolo della psicologia?

Sicuramente quello di tro­vare uno chiave di lettura dello mente e dell’animo e intervenire come aiuto sia nella prevenzione che nella curo dei disagi, ma non si può delegare tutto allo solo psicologia. Occorre uno sforzo e una riflessione comune ed importante da parte di tutte le scienze. Quando i problemi sono così complessi e diffusi, la risposta non può essere fornita solo a un livello. È necessario mettere in atto interventi sinergici tra tutte le scienze, tra il mondo politico, tra le forze dell’ordine e tra le agenzie educative.

articolo tratto da Beauty Energy di novembre 2023

 

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